A scuola di nodi per imparare i legàmi fondamentali

Nei tour lungo le banchine, quando ci si lascia andare a lente passeggiate tra prue e poppe vincolate ai pontili per osservare modelli di barche e spiare stili di vita a bordo, raramente ci si dedica ad una minuziosa osservazione dei modi, a volte molto differenti tra loro, di fissare le cime d'ormeggio. Cavi sottili come spaghetti che solleticano le cubie di grandi yacht, gomene spesse come anaconde che soverchiano minuscole pilotine… ogni armatore esercita le proprie scelte, e per legare il proprio bene galleggiante intreccia cavi che iniziano e terminano il loro operato su bitte e anelli con soluzioni tali che di tanto in tanto fanno sorgere il dubbio: ma i nodi servono ancora?

Il dubbio viene rafforzato durante le manovre di ormeggio o disormeggio, quando le povere cime, soprattutto se bagnate da uno sprovveduto lancio terminato nelle acque igienicamente compromesse del porto, vengono recuperate e di nuovo impugnate in punta di dita da mani calzate in eleganti guantini che assomigliano più a quelli da automobilista anni '50 che a protettivi involucri da lavoro, quasi che i batteri che sguazzano in prossimità dell'ormeggio possano inocularsi per via intradermica. 

In piena era informatica sembra impossibile che qualcosa, ancora, debba passare necessariamente attraverso la ruvidezza di un contatto fisico, che vada impugnato saldamente e rispettosamente piegato al proprio volere. Perché mai al giorno d'oggi, con tutta la tecnologia a disposizione, si rivela ancora necessario perdersi in pratiche rischiose e impegnative, che richiedono l'abilità di un prestidigitatore e la forza di un buttafuori?  Non solo: per ricordare come eseguirle serve anche la memoria di un elefante! Si, perché i nodi utili si possono anche imparare una volta nella vita, ma se poi nel ménage quotidiano, per parcheggiare l'auto o per lanciare un programma del computer, non servono più, se non è possibile ripeterli ogni giorno, finiscono nel dimenticatoio e rimangono solo un offuscato ricordo di polsi che ruotano e di mani che si intrecciano.

Allora, il tentativo di aggirare l'ostacolo della manipolazione coatta escogitando pratiche alternative alle contorte sovrapposizioni di correnti e dormienti, si trasforma in una sfida senza esclusione di mezzi e di tecnologie, che condanna armatori e comandanti a trascorrere intere notti insonni in cuccetta per riflettere su come fissare le cime alle bitte, a prolungate sedute in banchina per analizzare fettucce e catene, a lunghe disquisizioni con i vicini di ormeggio per promuovere e sostenere le rispettive tesi. La domanda che si è subdolamente insinuata nella mente del navigante o aspirante tale e ha stimolato tutto questo è una e solo una: com'è possibile fare a meno dei nodi, in barca?

La necessità aguzza l'ingegno, ed è dimostrato che nei porti di ingegni ce ne sono tanti, anche se spesso in contrasto tra loro: gli inventori di ganci particolari, di cursori scorsoi, di gasse premisurate, di sospensori, di ammortizzatori, di catene, di golfari, di gomme... soluzioni più o meno riuscite che hanno la missione di rendere le manovre eseguibili più facilmente, nei tempi più contenuti possibile, indicatori a modo loro di sicurezza e di padronanza del mezzo. Tutto calibrato alla perfezione attraverso una successione di azioni che non lasciano nulla al caso o all'intuito. Già fatto!

Tra le barche presenti in porto, sono sempre le più stanziali a rappresentare l'eccellenza di questa improrogabile evoluzione dell'arte nocchiera, una darwiniana pulsione che porta i propri armatori a competere non più sulle miglia percorse ma sul comfort del posto barca, un istinto di sopravvivenza che si fonda sulla capacità di interpretare materiali e tecnologie terrestri adattandole in chiave marinara, per adottare soluzioni creative che tal volta posso fin giungere a fare tendenza nell'intera area portuale. 

Questi fulgidi esempi di estrema organizzazione domestica rassicurano talmente tanto il manovratore, che finisce per dimenticare che non tutte le variabili sono contemplabili sempre, e la sensibilità necessaria per reimpostare una manovra abbozzata, o recuperare l'imprevisto, diventano fonte di disagio, soprattutto quando si abbandonano le bitte di casa per i pontili di misconosciuti porti. Allora il gommone dell'ormeggiatore diventa indispensabile, dell'elica di prua non si può più fare a meno, e quel che più conta, ad attendere in banchina ci deve essere qualcuno in grado di accogliere le cime e magari dare di volta alla bitta.

E adesso cosa si fa, gassa o doppino? Altro dubbio amletico che sul momento può inficiare persino le manovre perfette. Quasi sempre i comandi che giungono a terra provengono da voci diverse che sostengono la tesi opposta. Il povero samaritano che si è prestato a cogliere la cima al volo diventa il capro espiatorio delle diverse visioni da poppa. Tienila! Molla! Non lì, l'altra…

Nel frattempo qualcun altro a bordo è ancora intento a fissare con aria interrogativa una sagola che avvolge una draglia, mentre alla sua estremità un povero parabordo viene rigettato da due falchette troppo vicine. Ma in quel momento null'altro di tutto quello che sta accadendogli attorno ha il potere di richiamare l'attenzione del novello marinaio: imperturbabile, concentrato, avulso, in attesa solo che qualcuno si avvicini e lo illumini, mostrandogli quale giro giusto far fare alla cimetta che stringe tra le dita. Un gancio, per appendere i parabordi alle draglie non potrebbe bastare? Un semplice gancio, in plastica, in gomma, in acciaio…

Ma i dubbi in manovra non si esaurisco qui e i piccoli dettagli non preventivati emergono improvvisi in tutta la loro tragica semplicità, proporzionale all'intensità del vento, chissà perché tutti nello stesso imbarazzante momento.

Quante volte, figliolo? Sulle gallocce di poppa, si intende... Quanti giri a forma di otto vanno eseguiti perché il nodo non scivoli inesorabilmente e la barca rimanga inequivocabilmente alla distanza voluta dalla banchina? Il timore porta ad abbondare, e le povere bitte scompaiono alla vista, sepolte da panettoni di corda.

E sulle bitte in banchina, meglio fare una gassa o praticare dei semplici mezzi colli? La questione è aperta, anche tra gli ormeggiatori più esperti non c'è accordo, i partigiani dell'una o dell'altra fazione si affrontano sui pontili, nelle aule di scuola e nelle taverne dei porti.

Quando ci si occupa di mare le risposte univoche non sono frequenti, alle volte pare sia inevitabile il ricorso ad atteggiamenti che spaziano tra il fatalismo e la religione. In fondo c'è ancora bisogno di credere in qualcosa, e l'esecuzione dei nodi diventa un rito, la fase imprescindibile della liturgia di ogni manovra. Forse per questo, prima di ogni manovra di ormeggio, alcuni comandanti si fanno più o meno visibilmente il segno della croce. Che dio ce la mandi buona!

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Una lezione di una giornate intera di pratica per 70 Euro.

In collaborazione con ASD Pontos Bologna