Energia comandante!

La vita terrestre oramai ci ha abituato ad un uso/abuso quotidiano di energia elettrica che rasenta la dipendenza. Di questo ci rendiamo conto solo durante quei black-out che di tanto in tanto sconvolgono intere aree urbane, o -meno drammaticamente-  ogni volta che si naviga per periodi prolungati, percorrendo rotte disseminate di rade, con poche soste in porto.

Negli ultimi decenni le barche moderne hanno dovuto fare i conti con questa trasformazione, che da tecnologica è sfociata nel sociale se non addirittura nell'antropologico, e ha modificato i comportamenti della comunità umana, almeno di quella occidentale, e segnatamente quella nautica, intervenendo sulle abitudini individuali e sugli atteggiamenti sociali. Il semplice impianto elettrico a 12V presente da parecchi lustri su tutte le imbarcazioni che non siano solo mezzi per una rapida uscita giornaliera, oramai non può più bastare. Alla elementare esigenza di alimentare l'avviamento del motore e le luci di via per la navigazione notturna, piuttosto che qualche lucetta all'interno dell'imbarcazione, a pesare sui consumi di bordo si sono aggiunti gli ausili elettrici ed elettronici di supporto alla navigazione, dalle pompe di sentina no solo manuali ai salpancore, dagli impianti radio ai navigatori satellitari, fino all'imprescindibile elica di pura che deve agevolare le manovre in porti sempre più grandi ma con spazi di evoluzione sempre più ristretti. Le ricadute sui supporti per aumentare -si dice- la qualità della vita a bordo sono inevitabili: i frigoriferi, le prese per ricaricare gli irrinunciabili cellulari, smartphone o tablet, l'impianto stereo, il lettore vhs o dvd e la televisione (altrimenti i bimbi a bordo si annoiano), per non parlare di computer e giochi elettronici. Insomma, l'impianto elettrico di una qualsiasi imbarcazione è via via sempre più sollecitato, le batterie a bordo non bastano mai, i generatori autonomi di energia elettrica proliferano, e le coperte si riempiono di pale eoliche, di pannelli solari e fotovoltaici. Mai più senza…

Al di là di qualsiasi considerazione di ordine umano e culturale, la cosa che colpisce di più è la ricerca spasmodica di energia che PERVADE il novello diportista, quella "fame" di corrente resa esplicita dalla determinazione con cui si svolgono i concitati ormeggi, duranti i quali al timoniere, agli addetti ai parabordi e alle cime di ormeggio, si affianca la figura del "correntista", inteso non come utente di un istituto di credito ma come vero e proprio marine, esperto di veloci quanto atletici sbarchi con ancora il mezzo nautico in manovra, figure appositamente sensibilizzate e formate, capace di scendere con la presa elettrica e il cavo di alimentazione dell'impianto della barca in mano, in grado -prima ancora che l'equipaggio abbia potuto lanciare le cime d'ormeggio a terra- di inserire la spina nella colonnina più vicina, sventando il rischio che un altro utente del porto possa violare l'irrinunciabile e sacrosanto diritto ad assorbire nuova energia vitale per la propria imbarcazione, esausta e provata dall'alto costo in termini di energia che una giornata di mare comporta.

Non è raro assistere agli sguardi sconcertati di ormeggiatori coinvolti loro malgrado nello scambio contestuale del cavo della corrente con la trappa dell'ormeggio: un concitato do ut des privo di senso pratico, ma denso di significati latenti: la corrente viene ancor prima della necessità di assicurarsi con le cime, senza cavo in banchina la barca rischia di rimanere priva di quel soffio vitale che la rende non solo viva ma anche vivibile, scongiurando il rischio che rimanga un antro oscuro galleggiante, un luogo primitivo privo di comfort, di stimoli gratificanti per l'uomo moderno.

Ne sono testimoni le distese di cavi elettrici che invadono i pontili di un qualunque porto, turistico e non. Spazi insidiosamente calpestabili che nel passato sono stati appannaggio di cime e di reti da pesca, ora vengono impegnati da lunghe teorie di prolunghe, costellate da accrocchi composti da prese e spine impermeabili o avvolte in sacchetti di cellofan, posti barca presidiati da parabole satellitari.

E poi, la più moderna delle insidie, il più OSCURO dei servizi: la temibile colonnina attivabile solo con trasponder. E' vero, contingentare i consumi è civile, anche se la motivazione spesso si sovrappone ad una implementazioni dei costi a carico dell'utente, con sospetta fattura emessa dal porto. Ma di fronte a una così nobile motivazione ambientale, un navigante non baderebbe a questi particolari.

Le vessazioni a cui si presta il diportista moderno, pur di sfruttare l'energia elettrica del pontile, sono ben altre. Al di là dei costi/Kw, la vera tragedia si consuma quando ci si accorge di aver finito il credito quando l'ufficio del marina è chiuso: il prosecco non può più ghiacciarsi nel frigorifero, la stufetta non asciuga la condensa, il boiler non scalda più l'acqua, i wc elettrici sono inermi e per qualunque bisogno diventa necessario partire in missione verso i bagni pubblici del marina. Un disagio, ma... un attimo, non è che anche l'accesso ai bagni è regolato dal transponder?

Già, la barca è avventura, senso di libertà, rapporto diretto con la natura...